lunedì 11 febbraio 2013

ZERO DARK THIRTY – La ricerca della giustizia si trasforma in ossessione.


Non scrivo spesso recensioni dei film che vedo, anche perché, tra il fatto che i film che scelgo di guardare sono per la maggior parte capolavori e la mia tendenza a essere perfezionista, rischio di impiegare ore nella scrittura della review; cosa che sarà anche in questo caso.
Per Zero Dark Thirty debbo fare, quindi, un'eccezione. Si potrebbe anche dire che quest'ultimo termine riassuma per me magnificamente il film in questione.
Film eccezionale, nel senso di stupendamente scritto e messo in scena.
Film eccezionale poi per me, poiché non sono una grande amante del cinema di guerra, o meglio non è che non lo ami, anzi, quando mi trovo di fronte a siffatte opere, ne sono la prima fan, ma non è un genere che affronto abitualmente, essendo io una persona estremamente ansiosa. Preferisco il genere dramedy, avete presente? Per fare qualche esempio The Intouchables, Silver Linings Playbook, la cui uscita nelle sale italiane attendo con molta impazienza, ma questa è un'altra storia.
Andiamo al punto. Sabato sera sono andata al cinema con alcuni amici a guardare Zero Dark Thirty, dopo che avevo passato i giorni precedenti a leggerne recensioni e guardarne ripetutamente il trailer. Solo il trailer meriterebbe un Oscar, mi sento di spendere due parole per onorare chi lo ha realizzato. Rivedendolo dopo aver visto il film, trovo che il secondo trailer italiano in particolare sia perfetto (o quasi, se vi spaventa o non credete nella perfezione), riporta tutte le mie scene e citazioni preferite (“aspettati il peggio da me, non ti sono amico, non ti sarò d'aiuto, riuscirò a piegarti”), quelle che vedendo il film mi hanno colpito di più, oltre a quella musica fantastica (tema principale una bellissima covere di Nothing Else Matters). Mi ha attratto irresistibilmente, è assolutamente magnetico, e il film non delude le aspettative, anzi è molto di più.
Per chi non fosse ancora informato, allora, cos'è Zero Dark Thirty?
È l'ultimo film diretto da Kathryn Bigelow, prima regista donna ad aver vinto l'Academy Award nel 2010 per The Hurt Locker, altro film di guerra, vincitore a suo tempo anche dell'Oscar for Best Picture. Rappresenta la storia dell'individuazione e eliminazione del terrorista Osama Bin Laden, in particolare l'attività svolta dall'agente della CIA Maya, magistralmente interpretata da Jessica Chastain (solo Jennifer Lawrence le può strappare l'Oscar quest'anno), nei dieci anni compresi tra il 2001 e il 2 maggio 2011.
Il film comincia con una schermata scura e l'audio delle telefonate delle persone bloccate sulle Twin Towers l'11 settembre 2001, effettuate subito dopo lo schianto del primo aereo contro la Torre Nord. Disperazione, certezza di morte, terrore sono le sensazioni che esprimono, sensazioni che sentiamo piombare con tutto il loro peso su noi spettatori, mentre ascoltiamo le loro voci. La tensione che si impossesserà di noi in quei due o tre minuti non ci abbandonerà per tutto il film.
La prima mezz'ora dello stesso è stata oggetto di forte critica politica, perché ci fa puntare lo sguardo sui mezzi di tortura adoperati dagli agenti CIA, almeno durante il governo Bush, nella lotta contro il terrorismo e nella ricerca di Bin Laden: uno dei responsabili degli attentati dell'11 settembre, Amman, che non sarebbe a prescindere mai uscito dalla sua prigione, vi è stato sottoposto al devastante “waterboarding”, metodo di tortura che crea sulle vittime l'impressione di annegare, oltre a essere anche stato trascinato al guinzaglio con un collare per cani. Due fuochi opposti si fronteggiano in queste scene, il silenzio è rotto solo dalle false  promesse dell'agente Dan (“sai come si sente un perdente, io ho tempo tu no, tutti prima o poi cedono, è fisiologico”) e dallo strazio del prigionerio. Questo il primo versante sotto il quale è stato criticato Zero Dark Thirty, il secondo il presunto permesso di accedere a informazioni top secret sulle strategie militari, concesso da parte della presidenza USA, alla regista Bigelow e ai suoi collaboratori. In merito a queste controversie dirò solo che sono inutili: è un film di guerra, su una precisa guerra, quella americana contro i terroristi, e pochi, in fondo, sono coloro che dubitano degli strumenti usati per mettere un punto alla vicenda. Bigelow e Boal, lo sceneggiatore, hanno cercato di ricostruire in maniera realistica una scomoda realtà. Non è casuale la scelta di inserire una scena in cui Maya e gli altri agenti discutono in una sala, mentre in tv il presidente Barack Obama dichiara la fine dell'uso della tortura da parte dell'America. In ogni caso, va ricordato che si tratta di un film, non di un documentario, avrebbero avuto più senso in questo caso determinate critiche.
Il film ruota completamente intorno alla figura di Maya, all'evoluzione della sua persona e della sua figura professionale: appena uscita dalla scuola, viene riassegnata all'ambasciata americana in Pakistan, dove appunto assiste e partecipa alla tortura e agli interrogatori di Amman. Maya mostra, a mio parere, solo un'ombra di pietà di fronte a quella totale perdita di umanità. Ciò che colpisce di più del suo personaggio è il suo controllo, la sua calma, e soprattutto la sua sicurezza, che come sottolineerà un soldato, è il punto di partenza dell'operazione d'assalto al presunto nascondiglio di Bin Laden. Nascondiglio che è stato individuato dopo che per dieci anni l'agente Maya ha annullato la sua vita privata nella ricerca del corriere personale dello stesso Bin Laden, il cui nome di battaglia era stato rubato, tramite un bluff, allo stesso Amman. Questi i due uomini chiave dell'attività.
In quel percorso, Maya e gli altri agenti devono superare un attentato in una base CIA in Afghanistan, in cui perde la vita una collega e amica della protagonista, madre di tre figli, convinta di essere arrivata a una svolta con l'incontro con quello che pensava fosse una loro spia  e il futuro medico di Bin Laden: sul volto dell'attrice che l'interpreta si legge prima l'entusiasmo per un possibile passo in avanti, poi quando il medico assume comportamenti ambigui, l'orrore e la certezza di aver compiuto il più grande errore; quell'entusiasmo l'aveva spinta a non far effettuare su di lui i controlli usuali all'ingresso nella base (“le misure di sicurezza funzionano solo se si applicano sempre” le aveva detto pochi attimi prima un soldato).
Maya, che diviene poi nota a tutti, un bersaglio del nemico, non si arrende, vuole “trovare i responsabili di questa barbarie e uccidere Bin Laden”.
Quando tutto sembra perduto, perché un detenuto sosterrà che il corriere sarebbe morto già nel 2001, Maya, che all'inizio sembra perdere la ragione, non si mostra convinta, e insiste fino a scoprire che aveva un fratello molto somigliante, e che possiedono la foto del cadavere di quest'ultimo. Riescono quindi a individuarlo e a trovare la sua abitazione.
Nella riunione che il direttore della CIA tiene prima di incontrare il Presidente Obama è l'unica che si mostra certa dell'esito dell'operazione: non ci sono prove concrete che sia proprio Bin Laden il terzo uomo a nascondersi nella casa individuata, con nessun mezzo si è riusciti a dimostrarlo, ma mentre gli altri si mostrano aperti all'idea che possa trattarsi di un altro criminale professionista, come un trafficante di droga, lei messa in disparte in fondo alla sala, e il cui parere viene richiesto per ultimo, è risoluta, non ha alcun dubbio (“100% che è lì, ok 95%, perché la certezza vi fa perdere la testa, ma è il 100%”).
Si arriva così all'ultima parte del film, quella che può essere goduta appieno solo vedendola in una sala di cinema: il raid è approvato dal Presidente Obama e i Navy Seals effettuano l'incursione nella fortezza di Abbottabad. Di tutto il film ho apprezzato l'occhio attento ai dettagli, il non voler cadere in cliché, e l'attenzione per la situazione dei soldati. Si mostra come essi procedano nell'incursione con  la calma richiesta per eseguire alla lettera le procedure, ma senza perdere un attimo la concentrazione. Mi ha colpito la scena in cui le persone delle case accanto escono fuori (perché, quando sentono gli spari, invece di rinchiudersi in casa, escano, non l'ho capito), destate dalla confusione a quell'ora di notte (la zero dark thirty del titolo), e il soldato urla loro in arabo, disperato, di allontanarsi, perché altrimenti saranno uccise; la scena in cui un soldato chiede a un altro di far smettere di piangere i bambini nel nascondiglio; e infine, quella in cui il soldato che accede per primo al terzo piano chiama sussurando per nome Osama, una, due, tre volte.
Il corpo di Bin Laden viene poi riportato alla base, dove Maya stessa lo identificherà.
La scena finale vede la protagonista salire su un aereo militare e il pilota sottolineare che è tutto per lei, e che perciò deve trattarsi di qualcuno d'importante, e quindi le chiede dove vuole andare: Maya inizia a piangere, non sa cosa rispondere, forse perché il nemico più grande è stato sconfitto, e ora la sua vita non ha più uno scopo; o forse perché avrà inizio una nuova lotta.
Zero Dark Thirty è un capolavoro, c'è poco da discutere, non trovo critiche da fare, mi è piaciuto praticamente in tutto e per tutto. La regia della Bigelow è straordinaria, la sceneggiatura ottima, l'interpretazione degli attori, dalla Chastain agli altri (cito i bravissimi Jason Clarke, Joel Edgerton, Jennifer Ehle, Chris Pratt, Kyle Chandler, James Gandolfini, Mark Strong), assolutamente calzante e coinvolgente, da elogiare anche musiche e sound. L'unico motivo per cui il voto che assegno al film è 9,5, e non 10, sta nel fatto che non riesco a provare empatia fino in fondo per la protagonista, la cui volontà di fare giustizia (se c'è mai stata) si trasforma nella ricerca di raggiungere un obiettivo e di distruggerlo, in un'ossessione.











giovedì 26 gennaio 2012

What if...: "Carpe diem"

What if...: "Carpe diem": Pensavo che nei giorni successivi al mio esame mi sarebbe venuto naturale inaugurare questo blog. Mi sbagliavo. Ci sono dei periodi in cui m...

giovedì 15 dicembre 2011

"Carpe diem"

Pensavo che nei giorni successivi al mio esame mi sarebbe venuto naturale inaugurare questo blog. Mi sbagliavo. Ci sono dei periodi in cui mi trovo a procrastinare tutto, o quasi, perfino un po' di sano relax. Fortunamente mi riferisco a piccole cose che comunque posso permettermi di rimandare, ma il punto è che non dovrei farlo, perché da qualche tempo credo fortemente nel "carpe diem": se c'è una cosa che vuoi e puoi farla ora (sì, dico anche a te), falla, prenditela e basta. E allora, nel momento in cui finalmente ieri sera, prima di leggere le mie abituali pagine ante/pro-sonno, ho realizzato la mia tendenza a rimandare cose che da tempo, anche mesi, sono sulla mia lista di progetti, ho capito come impostare questo blog e a che cosa ispirarmi. O potrei meglio dire a chi ispirarmi, cioè a Julie Powell. Perché lei è una persona reale, non un semplice personaggio di un film, nella specie "Julie e Julia".

Si tratta di un film uscito nel 2009, con protagoniste Amy Adams e l'insuperabile Meryl Streep, e che racconta la storia vera di una ragazza che, insoddisfatta del corso che ha preso la propria vita, decide di darle una svolta: dà così inizio al The Julie/Julia Project, un blog in cui registrava cronologicamente il tentativo di sperimentare nel giro di 365 gioorni tutte le 524 ricette del libro di cucina di Julia Child, "Mastering the Art of French Cooking".

Oltre al fatto che vi suggerisco di vedere il film se un giorno siete nel mood adatto per farlo, ve ne ho parlato perché proprio ripensare alla Julie cinematografica è stata la chiave che mi ha fatto svegliare oggi con una visione diversa da quella di ieri. Meglio correre all'impazzata che stare fermi a guardare il tempo che scorre più in fretta di noi. E' una specie di gara. Il tempo è il grande nemico dei tempi moderni, il mio arcinemico ed io, che spesso gli ho voluto permettere di battermi, oggi voglio proprio fregarlo. Per la serie, chi si ferma è perduto.

Avrete capito allora, che il punto per me non è come per Julie rispettare una marcia quotidiana programmata per ogni giorno di un anno, ma fare qualsiasi cosa che mi venga in mente possa fare in un giorno qualunque. Aprire la porta di casa e andare a farla. Per una volta, sfidare le regole che io stessa ho creato e bruciarmi i piani. Niente programmi, ma solo l'idea di fare il massimo per arrivare a fine giornata a provare una sensazione di pienezza e soddisfazione che ultimamente ho provato di rado.

Ad esempio, recentemente posso dire di aver vissuto attimi "speciali" nei giorni prima del mio ultimo esame, quando sentivo di essermi appassionata ai temi approfonditi, poi quando ho accarezzato la gatta dei miei zii preferiti (Bloom) e quando ho visto illuminarsi l'albero di Natale della piazza della mia città preferita.

Questo blog sarà una sorta di diario in cui annoterò quelle piccole cose che mi allietano la giornata, sperando che riesca a mantenere l'impegno... La sfida è ardua, ma tutti l'affrontano prima o poi nella vita.

Allora, che fate ancora qui? Andate a cogliere l'attimo.